Tra le numerose tendenze in ambito dietetico, la dieta chetogenica ha guadagnato popolarità grazie al suo approccio totalmente differente.
In questo articolo, esploreremo i vantaggi e i limiti di questo regime alimentare, insieme alla Dott.ssa Elisa Lapini, Medico specialista in Scienze dell’Alimentazione e da anni membro dell’equipe del Centro Obesità e Nutrizione Clinica di Ospedali Privati Forlì con sede a Villa Igea.
La Dott.ssa Lapini vanta una particolare competenza nella gestione dei disturbi del comportamento alimentare e nel percorso di diagnosi e trattamento delle condizioni di refrattarietà al calo ponderale.
Anche se si tratta di un argomento molto trattato, la dieta chetogenica non è di certo una novità. Le origini vanno fatte risalire fino agli antichi Egizi, che avevano scoperto le proprietà benefiche del digiuno per “guarire” i bambini che presentavano crisi epilettiche. Tuttavia i primi approcci scientifici si sviluppano nel corso del Novecento, quando vengono elaborati i primi schemi nutrizionali con un basso apporto di carboidrati.
Riducendo drasticamente l'apporto di carboidrati, il corpo è costretto a produrre corpi chetonici, utilizzati come fonte di energia dal cervello. Questo regime alimentare trova applicazione anche nel trattamento di patologie come la cefalea, l’epilessia, l’Alzheimer e il Parkinson.
Quando l’obiettivo è il trattamento del sovrappeso e dell’obesità, si tratta di una dieta ipocalorica (800 Kcal circa al giorno), e ipoglucidica, limitando i carboidrati tra 20 e 60 grammi al giorno. Per capirci, vengono tolti anche gli zuccheri della frutta, lasciando solo i carboidrati complessi (pane o fette biscottate integrali) in quantità di 30-60 grammi al giorno.
In questo modo si obbliga il corpo a “bruciare” il grasso, producendo i corpi chetónici che non fanno percepire la sensazione della fame e che possono essere utilizzati come energia anche dal cervello e dal cuore.
La dieta chetogenica crea una condizione ormonale che favorisce la distruzione del grasso, e allo stesso tempo ne riduce la deposizione, oltre che la percezione della fame. Per questo solitamente si inizia con una fase più rigida, che non dovrebbe protrarsi per più di 4 settimane consecutive; ovviamente la drastica riduzione calorica e l’assente stimolazione insulinica (con conseguente forte calo dell’appetito) si traduce in un buon calo ponderale.
A seguito di questa prima fase, si passa ad una progressiva reintroduzione dei carboidrati. Un passaggio molto delicato che, se non viene affrontato nel giusto modo, può portare al recupero del peso.
Sicuramente la dieta chetogenica ha un effetto positivo sulle patologie associate all’obesità come ad esempio il diabete di tipo 2, l’ipertensione, la sindrome delle apnee ostruttive del sonno e la steatosi epatica. Va tenuto presente che ci sono anche delle controindicazioni, da non sottovalutare, tra cui insufficienza epatica e renale, diabete di tipo 1 e problematiche cardiopatiche. In termini di effetti collaterali, invece, i più frequenti nei primi giorni sono cefaléa, alitósi e stipsi.
Proprio per questo, per intraprendere un qualsiasi percorso nutrizionale occorre affidarsi ad uno specialista in ambito nutrizionale che, dopo un’accurata valutazione, prescriva la dietoterapia più appropriata in base non solo alla storia clinica del paziente, ma anche personale.
Realizzato in collaborazione con la Dott.ssa Elisa Lapini, Medico specialista in Scienze dell’Alimentazione e membro dell’equipe del Centro Obesità e Nutrizione Clinica di Ospedali Privati Forlì.
Realizzato in collaborazione con la Dott.ssa Elisa Lapini
Medico specialista in Scienze dell’Alimentazione e membro dell’equipe del Centro Obesità e Nutrizione Clinica di Ospedali Privati Forlì.